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lezione n.4

Bill Viola, Old Oak (Study), 2005
Color High-Definition video, 30:16 minutes
In un dipinto, il paesaggio che l'artista fa sorgere dal suo pennello può essere solenne o tormentato, denso o etereo, circonfuso di luce o avvolto di mistero - l'importante è che vada al di là della dimensione della mera rappresentazione e che sia dia come apparizione, come avvento. Avvento di una presenza - non nel senso figurativo o antropologico del termine - che è possibile percepire o di cui si può avere il presentimento: quella dello spirito divino. Con tutta la sua componente di invisibilità, questa presenza corrisponde a ciò che i teorici chiamano lo xiang-wai-zhixiang, "immagine al di là delle immagini", e non è lontana dall'esperienza che nella spiritualità Chan va sotto il nome di illuminazione. Quando, di fronte a uno spettacolo della natura - un albero in fiore, un uccello che spicca il volo emettendo il suo grido, un raggio di sole o di luna che illumina un attimo di silenzio - improvvisamente ci si ritrova dall'altra parte, si oltrepassa il velo dei fenomeni e e si ha l'impressione di una presenza che procede da sè e ritorna a sè, intera, indivisa, inesplicabile e tuttavia innegabile, come un dono munifico che fa sì che tutto sia presente, diffondendo una lucve che ha il colore dell'origine, intonando dolcemenete un canto primordiale che va da cuore a cuore e da anima a a anima.
Ho pronunciato la parola "anima"; essa mi richiama alla mente la nozione di yi-jing, "dimensione dell'anima", che abbiamo già avuto modo di incontrare nel corso della seconda meditazione a proposito della rosa e che rappresenta in qualche modo, nell'estetica cinese, un analogo dello shen-yun, la "risonanza divina". Allo stesso modo, lo yi, "disposizione del cuore, dell'anima", è qualcosa di cui sono dotati tanto l'uomo quanto l'universo vivente. Lo yi-jing suggerisce quindi un'intesa tra l'umano e il divino che va da anima ad anima, che la lingua cinese indica con l'espressione mo-qi, "tacita intesa". Un'intesa che non sarà mai completa, poichè esisterà sempre uno iato, una sospensione, una mancanza da colmare. Lo spazio vuoto lasciato al termine di un ruolo di pittura serve per indicare proprio questo. Questo vuoto animato dal soffio reca in sè un'attesa, un ascolto pronto per accogliere un nuovo avvento, annunciatore di una nuova intesa. Per ottenerla l'artista è costantemente pronto a sopportare dolore e tristezza, privazioni e smarrimenti, fino a farsi consumare dal fuoco del suo stesso atto, lasciandosi risucchiare dallo spazio dell'opera. Egli sa bene che la bellezza, più che un dato, è il dono supremo da parte di ciò che è stato offerto. E che per l'uomo, più che un'acquisizione, sarà sempre una sfida e una scommessa.

dendro

Rembrandt Harmenszoon van Rijn, I tre alberi, 1643, acquaforte



Alla domanda: "Qual'è l'essere vivente più grande al mondo?", i più scelgono la risposta generica "la balena" o, più in dettaglio, "la balena azzurra". Si sbagliano. In realtà, le sequoie dell'America settentrionale possono essere più grandi di qualsiasi balena. Nel "parco delle sequoie" in California, un esemplare di Sequoiadendron giganteum, soprannominato "Generale Sherman" è alto circa 83 metri, ha una circonferenza di poco più di 24 metri e il suo peso stimato è 2030 tonnellate, venti volte il peso di una balena azzurra di dimensioni medie. Questa, però, non è la sequoia più alta: il primato appartiene ad un esemplare di Sequoia Sempervirens alto poco più di 110 metri, soprannominato " Howard Libby".
Questi giganti tra i viventi sono diventati tali, perché hanno avuto il tempo necessario, protetti dai luoghi, inaccessibili per millenni. Identica fortuna non é toccata agli alberi delle foreste europee, e in particolare, a quelli delle foreste italiane. Nelle terre che oggi fanno parte della regione Emilia-Romagna, l'antichità dell'insediamento umano e la fertilità delle alluvioni fluviali spiegano la perdita, ormai bimillenaria, delle grandi foreste di pianura e la trasformazione delle residue foreste montane in boschi cedui, in castagneti e in piantagioni di conifere.
La funzione produttiva dei boschi non ha certo favorito la longevità degli alberi e, nello stesso tempo, gli alberi preferiti per una rapida ed elevata produzione di legno sono, per loro stessa natura, poco longevi. In più, le forme degli alberi superstiti, nei boschi ma, soprattutto, nelle aree agricole e suburbane, documentano un uso degli alberi proprio di un'economia povera per molti secoli, ed anche il suo persistente retaggio culturale: ceppaie, bassi tronchi capitozzati, alberi deformati da potature cui si dedicano con tenacia molti nostri contemporanei.
Gli alberi sono i simboli silenziosi della cultura di un popolo.
I nostri pochi alberi non possono quindi rivaleggiar con le sequoie americane,  ma sono anche loro, a scala locale, i più grandi tra i viventi. Il valore che viene percepito più facilmente nei loro riguardi è quello che potemmo definire genericamente "culturale".
I grandi e vecchi alberi sono, quasi sempre, i solo superstiti di paesaggi perduti e i soli protagonisti non effimeri dei nuovi paesaggi creati dall'uomo, dove l'instabilità e il mutamento sono la regola. Sono gli alberi che formavano le antichissime foreste: olmi, carpini e farnie in pianura, cerri e rovelle in collina e nella bassa montagna; faggi più in alto fino al limite della vegetazione forestale. Ma ci sono anche alberi coltivati, come il castagno e il cipresso.
L'incontro con un grande albero, qualunque sia la specie, non può che destare ammirazione: il pensiero corre al tempo che è trascorso da quando era un piccolo seme appena germinato, alla straordinaria capacità di crescita e di accumulo di questi vegetali, ad è da sempre spontaneo il confronto tra la nostra breve vita individuale e quella dell'albero che abbiamo davanti. Ben comprensibile è il valore di sacro che molteplici popoli, sindall'infanzia della nostra specie, hanno attribuito agli alberi, alle foreste non toccate dall'uomo: grandi alberi e boschi impenetrabili erano i custodi di una forza vitale, di un mistero che si poteva sperare di attingere, per breve tempo e in piccola parte,  solo attraverso la mediazione di un rito. Erano essi stessi le divinità primigenie, come lo erano le sorgenti e i fiumi. L'indescrivibile bellezza di questi luoghi seganti dalla sacralità della natura è stata perduta per sempre nel nostro mondo e, con loro, sono state perdute le emozioni profonde che essi provocavano nei nostri antenati, sino a guidare i loro pensieri. Un esempio tra i tanti, ce lo forniscono le cattedrali gotiche. Come osservò Ralph Waldo Emerson : "la chiesa gotica trasse origine, manifestamente da un adattamento degli alberi della foresta, con l'intrico dei loro rami, in arcate solenni e fantomatiche...Stando dentro un bosco in un pomeriggio invernale, ognuno si renderà subito conto dell'origine delle vetrate istoriate che ornano le cattedrali..., osservando i colori del cielo al tramonto attraverso l'intreccio dei rami nudi".
Il valore biologico dei grandi vecchi alberi nasce dalla loro stessa vita, passata attraverso innumerevoli stagioni: calori estivi, geli invernali, turbolenze dell'aria. Un albero vecchio soltanto di tre secoli ha visto sorgere e tramontare il sole circa 110000 volte.
Ogni vecchio grande albero è la manifestazione estrema dell'ostinazione dell'aadattabilità della vita vegetale. Di ogni stagione questi alberi serbano il ricordo lignificato nel profondo dei loro tronchi o nella chioma modellata dei rami sopravvissuti agli schianti del vento e della neve. Il loro programma genetico è quello compendiabile nella frase " durare più a lungo possibile". Per riuscirci ogni albero trasforma ogni anno parte del suo corpo in biomassa di sostegno e produce nuove parti destinate alla nutrizione. Può farlo perché è una pianta, cioè una creatura modulare.  La sua architettura è costruita attraverso la produzione ripetitiva di parti elementari simili tra loro.
Goethe osservò: "....una pianta , o se preferiamo , un albero, i quali ci si presentano come individui, non v'è dubbio che si compongano in realtà di parti uguali e simili tra loro all'interno: basti pensare a quante piante vengono moltiplicate per propaggini. La gemma di un albero produce un ramoscello, che a sua volta produce un gran numero di gemme uguali......"
Ogni parte elementare, ogni modulo, è formata da una foglia e dalla gemma che si trova alla base della foglia. Questo modulo è l'intima realtà dell'albero, quella che ne assicura la vita e la crescita. La sua formazione è influenzata dalle condizioni del momento e, per questo, ogni albero ha una forma altamente imprevedibile che dipende fortemente dall'interazione con l'ambiente.
Lo aveva già osservato Leonardo Da Vinci nel Trattato sulla pittura: "è tanto dilettevole natura e copiosa nel variare, che infra gli alberi della medesima natura, non si troverebbe una pianta ch'appresso somigliasse all'altra, e non che le piante, ma li rami o le foglie o i frutti di quelle, non si troverà uno che precisamente somigli all'altro".
I suoi moduli sono integrati in un sistema nutritivo ma, al tempo stesso, ogni modulo può essere perduto e rifatto da un'altra parte. Questa seconda caratteristica è, senza enfasi, la chiave per capire la straordinaria esistenza della vita sulla Terra, alimentata dall'adattabilità delle piante verdi.
Ogni grande albero è la più grande manifestazione di questo carattere: durare significa avere straordinarie capacità di risposta alla variabilità delle condizioni ambientali.
Nelle situazioni di più grave degradazione ambientale, un grande albero può essere ormai il solo portatore di un genoma divenuto ormai raro.  La propagazione è in questo caso una strategia altamente raccomandabile di conservazione biologica. Nello stesso tempo, i semi che un grande albero di una specie rara produce contengono nuove preziose combinazioni genetiche, sono il deposito della necessaria variabilità cui dovremmo attingere per conservare la specie stessa e riutilizzarla nelle ricostruzioni ambientali.
Resta da ricordare lo straordinario valore ambientale dei vecchi grandi alberi. Essi sono autentiche isole verticali che contengono un mosaico di habitat, in cui la natura dispone molte altre creature per vivere. Per limitarci soltanto ai vertebrati, si può ricordare che varie specie di uccelli usano i grandi alberi a diverse altezze dal suolo: i rami più alti spesso disseccati, sono utilizzati dai rapaci e dalla cornacchia come luoghi di osservazione e la ghiandaia li usa per nidificare. Poco più in basso trovano riparo per la notte molti piccoli uccelli, e di giorno, la cinciallegra e il picchio muratore percorrono rapidamente i rami nutrendosi di molti insetti. Nelle biforcazioni più riparate dei grandi rami cotruisce il suo nido lo scoiattolo, che si scava tane nelle parti marcescenti del tronco, le stesse che i picchi raggiungono per estrarne larve di insetti. Nelle cavità del tronco trascorrono l'inverno il ghiro e il moscardino; l'allocco, che passa il giorno nascosto nel fitto fogliame, vi costruisce il proprio nido. Le cavità dell'albero forniscono , in generale, importanti siti di rifugio per i pipistrelli e l'albero trae verosimilmente beneficio dalla degradazione minerale dei loro escrementi liquidi e solidi, operata da invertebrati, funghi e batteri. Si sa infine, che i rospi usano il legno marcescente e gli anfratti alla base dei vecchi alberi come luoghi di rifugio. Questo quadro di vita, sommariamente accennato, è tanto più ricco quanto meno degradato è il contesto ambientale in cui l'albero si tova: la vita legata ad un grande albero  dipende in larga misura da ciò che gli sta intorno. Il valore dei vecchi grandi alberi per la biodiversità locale è, comunque, sempre molto alto: la loro conservazione è riduttiva del loro valore e, quindi poco utile, se li si considerasse soltanto "monumenti", come fossero edifici, e si procedesse a "restauri" eliminando parti morte e deperienti.
Su un grande e vecchio albero dimora un'attività straordinaria, che percorre tutti i livelli della vita: dalla produzione di materie e di energia, al suo uso e alla sua degradazione. Questa trama di un antichissimo canovaccio è stata ed è recitata da molti protagonisti.
Oggi, come tutti gli anziani, i grandi alberi hanno anch'essi bisogno di affetto, riposo e pace.
Non potarli inutilmente, rispettare il terreno circostante per non danneggiare le radici, non accendere fuochi nelle vicinanze, sono le cose che possiamo fare per loro. In più, non dobbiamo lasciarli soli: piantare nuovi alberi o favorire la naturale riconquista degli antichi spazi perduti dalle foreste, saranno i modi migliori per festeggiare i compleanni di questi patriarchi.

Carlo Ferrari
 I grandi alberi: un concentrato di risorse biologiche, ambientali e culturali.  
Dal libro " Giganti Protetti. Gli alberi monumentali in Emilia-Romagna"

alberi

albero della nonna. albicocco morto con glicine. Cervia, 2010


 Per me gli alberi sono sempre stati i predicatori più persuasivi. li venero quando vivono in popoli e famiglie, in selve e boschi. E li venero ancor di più quando se ne stanno isolati. Sono come uomini solitari. Non come gli eremiti, che se ne sono andati di soppiatto per sfuggire ad una debolezza, ma come grandi uomini solitari, come Beethoven e Nietzsche.
Tra le loro fronde stormisce il mondo, le loro radici affondano nell'infinito; tuttavia non si perdono in esso, ma perseguono con tutta la loro forza vitale un unico scopo: realizzare la legge che é insita in loro, portare alla perfezione la propria forma, reppresentare se stessi.
Niente é più sacro e più esemplare di albero bello e forte.
Quando un albero é stato segato e porge al sole la sua nuda ferita mortale, sulla chiara sezione del suo tronco - una lapide sepolcrale - si può leggere tutta la sua storia: negli anelli e nelle concrescenze sono scritte fedelmente tutta la lotta, tutta la sofferenza, tutte le malattie, tutta la felicità e la prosperità, gli anni magri e gli anni floridi, gli assalti sostenuti e le tempeste superate. E ogni contadino sa che il legno più duro e più pregiato ha gli anelli più stretti, che i tronchi più indistruttibili, più robusti, più perfetti, crescono in cima alle montagne, nel perpetuo pericolo.
Gli alberi sono santuari. Chi sa parlare con loro, chi li sa ascoltare, conosce la verità. Essi non predicano dottrine e precetti, predicano, incuranti del singolo, la legge primigenia della vita.
Così parla un albero: in me è celato un seme, una scintilla, un pensiero, io sono la vita della vita eterna. Unico è l'esperimento che la madre perenne ha tentato con me, unica la mia forma e la venatura della mia pelle, unico il più piccolo gioco di foglie delle mie fronde e la più piccola cicatrice della mia corteccia. Il mio compito è quello di dar forma e rivelare l'eterno nella sua marcata unicità.
Così parla un albero: la mia forza è la fede. Io non so nulla dei miei padri, non so nulla delle migliaia di figli che ogni anno nascono da me. Vivo il segreto del mio seme fino alla fine, non ho altra preoccupazione. Io ho fede che Dio è in me.  Ho fede che il mio compito è sacro. Di questa fede io vivo.
Quando siamo tristi e non riusciamo più a sopportare la vita, allora un albero può parlarci così: Sii calmo! Sii calmo!! Guarda me! La vita non è facile, la vita non è difficile. Questi sono pensieri infantili. Lascia che Dio parli in te ed essi taceranno. Tu hai paura perché la tua strada si allontana dalla Madre e dalla Patria.  Ma ogni passo e ogni giorno ti riconducono di nuovo alla madre. La patria non è in questo o in quel luogo. La patria è dentro di te, o in nessun posto.
La nostalgia di vagare senza meta mi prende il cuore, quando, a sera sento gli alberi stormire nel vento. Se li si ascolta a lungo, in silenzio, anche la nostalgia di vagare rivela appieno il suo significato più profondo. Non è desiderio di scappare via dal dolore, come sembra; è nostalgia della propria patria, ricordo della propria madre, struggimento per nuovi simboli di vita. Conduce a casa. Ogni strada conduce a casa, ogni passo è nascita, ogni passo è morte, ogni tomba è madre.
Così sussurra l'albero nella sera, quando abbiamo paura dei nostri pensieri infantili. Gli alberi hanno pensieri duraturi, di lungo respiro, tranquilli, come hanno una vita più lunga della nostra. Sono più saggi di noi finché non li ascoltiamo. Ma quando abbiamo imparato ad ascoltare gli alberi, allora proprio la brevità, la rapidità e la precipitazione infantile dei nostri pensieri, acquistano una letizia incomparabile. Chi ha imparato ad ascoltare gli alberi, non desidera più essere un albero. Non desidera essere altro che quello che è. Questa è la patria. Questa è la felicità.


Hermann Hesse, Il Canto degli Alberi